L’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli di Napoli si distingue come centro di riferimento per le malattie rare, forte di strutture dedicate, un centro di coordinamento aziendale e la partecipazione attiva al Tavolo Tecnico Regionale della Campania.
Offre percorsi assistenziali complessi (PACC) per la diagnosi e il follow-up, collabora strettamente con la Farmacia per la gestione dei farmaci rari e si occupa di formazione specialistica, promuovendo diagnosi precoce e presa in carico multidisciplinare. Al fine di assicurare continuità ai pazienti e un ottimale passaggio di consegne tra i professionisti, l’Endocrinologia, in collaborazione con la Pediatria, ha introdotto alcuni anni fa un “ambulatorio della transizione”.
Questi aspetti sono stati approfonditi con la prof.ssa Daniela Pasquali, responsabile della UP di Malattie Rare Endocrine, e con la dott.ssa Rosa Annibale, responsabile della UOSD Farmacia Ospedaliera, le cui voci hanno delineato un modello di cura integrato.
Gestione delle malattie rare: dalla rete europea al Piano Nazionale
Il modello assistenziale sviluppato all’AO Vanvitelli s’inserisce nel più ampio quadro definito dal Piano Nazionale Malattie Rare, un documento strategico che mira a uniformare l’assistenza su tutto il territorio italiano e a garantirne l’equità. Il PNMR recepisce le direttive delle Reti di Riferimento Europee (ERNs – European Reference Networks), il cui obiettivo è connettere i centri di eccellenza europei per facilitare la condivisione di conoscenze diagnostiche e terapeutiche.
Le malattie rare, per loro natura, richiedono un approccio iperspecialistico e l’accentramento delle competenze in pochi centri, come l’AO Vanvitelli, risulta una scelta obbligata per elevare la qualità delle cure. Tuttavia, l’applicazione concreta del Piano Nazionale si scontra ancora con disomogeneità regionali che rendono i centri in grado di creare percorsi assistenziali fluidi e integrati – come l’ambulatorio della transizione – veri e propri benchmark per il resto del Paese.
Un ponte essenziale: l’ambulatorio della transizione
L’iniziativa è nata per assicurare continuità assistenziale ed evitare che i pazienti si perdano nel passaggio tra i diversi setting di cura, e in particolare tra quello pediatrico, che si configura come un ambiente “protetto”, e quello adulto, in cui il paziente è chiamato ad assumere un ruolo proattivo nel proprio iter terapeutico. La prof.ssa Pasquali ne ha chiarito la genesi e la finalità. «Grazie, in particolare, alla collaborazione della prof.ssa Anna Grandone dell’Endocrinologia Pediatrica, l’ambulatorio di transizione è stato istituito circa sei anni fa. Questa iniziativa, che punta a costruire un percorso virtuoso di transizione, si è consolidata nel tempo e ha reso possibile il complesso processo di transizione di numerosi giovani pazienti».

L’iniziativa ha un focus particolare sul rachitismo ipofosfatemico, grazie a un progetto dedicato della Regione Campania. In questo contesto, l’obiettivo è alleggerire il carico del paziente e superare il rifiuto della patologia, spesso più forte in età adolescenziale, creando un percorso eccellente di collaborazione. In tal senso, si stanno approntando questionari e un sito internet dedicati. L’organizzazione dell’ambulatorio è pensata per facilitare il paziente. «La prima visita è congiunta. Vengono fornite informazioni dettagliate e una brochure su come accedere agli ambulatori, spieghiamo il funzionamento dell’endocrinologia dell’adulto e le malattie rare endocrine, di cui ci occupiamo».
Le visite successive non sono congiunte, ma il flusso d’informazioni è costante. Il beneficio di seguire il paziente all’interno della stessa struttura è cruciale, poiché «permette di ottimizzare il passaggio di consegne e di evitare che i pazienti vengano persi sul territorio», ha enfatizzato la prof.ssa Pasquali. Il follow-up è disegnato sulla patologia e sulle esigenze del singolo paziente, con visite anche semestrali in assenza di necessità specifiche o con l’attivazione di PACC in-house che consentono di contemplare tutti gli aspetti clinici e terapeutici in un’ottica multidisciplinare, rispettando i principi di appropriatezza.
Logistica terapeutica: dalla struttura alla prossimità
L’erogazione delle terapie, soprattutto quelle complesse per le malattie rare, richiede un’organizzazione meticolosa e la stretta collaborazione tra clinici e Farmacia Ospedaliera. La prof.ssa Pasquali ha chiarito la regola base: «la prima erogazione è sempre ospedaliera, poi noi tendiamo a mandare i pazienti sul territorio, per non creare loro un aggravio con gli spostamenti».
La dott.ssa Annibale è entrata nel dettaglio logistico, in particolare per i trattamenti che richiedono un ambiente protetto. Per esempio, nel caso del rachitismo ipofosfatemico, mentre nei bambini la terapia viene erogata in struttura o tramite infermiere a domicilio, per gli adulti l’approccio è coordinato. «La prima somministrazione avviene qui all’AO Vanvitelli; per le successive l’UP di Malattie Rare Endocrine contatta le Asl di residenza affinché il paziente possa proseguire presso un presidio ospedaliero di prossimità». Questa sinergia tra i servizi della struttura e le Asl garantisce sicurezza e prossimità territoriale.

Accesso precoce al farmaco e ricerca clinica
Il Policlinico Universitario ha un ruolo determinante nell’accesso precoce a terapie innovative. L’AOU Vanvitelli può ottenere l’accesso al farmaco prima dell’immissione in commercio grazie a sperimentazione clinica e uso compassionevole.
La dott.ssa Annibale ha evidenziato il vantaggio di questa esposizione anticipata. «Quando si arriva alla disposizione della Regione per l’inserimento del farmaco nel prontuario regionale e viene individuato il centro certificatore, per la nostra Farmacia non si tratta di una novità, avendo avviato già da tempo un iter e seguendo da vicino tutto il dossier della sperimentazione».
Questa conoscenza pregressa è di grande rilevanza perché «ci consente di conoscere in anticipo i possibili effetti collaterali del trattamento e le necessità organizzative piuttosto che valutare una stima dei futuri fabbisogni». La prof.ssa Pasquali ha enfatizzato la sfida della ricerca in un ambito caratterizzato da numeri limitati. «Nelle malattie rare i numeri sono molto piccoli e gli studi molto complessi, proprio per via dell’esiguità delle casistiche. Solo gli studi multicentrici possono dare risposte più adeguate, anche se l’esperienza del singolo centro ha valore di dato real world».
Di recente l’AOU Vanvitelli è stata coinvolta nella redazione di database nazionali su patologie rare dell’osso come ipofosfatasia, ipoparatiroidismo, disturbi del metabolismo del fosfato. Nell’ambito delle malattie rare in cui i classici studi clinici randomizzati e controllati (RCT) risultano irrealizzabili per mancanza di numeri sufficienti, il dato real world assume un valore etico e scientifico cruciale: l’esperienza clinica quotidiana del team multidisciplinare, che raccoglie informazioni sull’efficacia e sulla sicurezza dei trattamenti al di fuori dell’ambiente strettamente controllato della sperimentazione, diventa un asset fondamentale anche per l’aggiornamento delle linee guida.
La genetica come supporto per la diagnosi
La diagnosi tempestiva all’AOU Vanvitelli è favorita dall’integrazione della clinica con la genetica medica del prof. Vincenzo Nigro. Questo servizio, pioniere nell’analisi NGS – Next-Generation Sequencing, ha rappresentato un cambio di paradigma per la diagnosi di malattia rara, consentendo l’adesione al progetto delle Malattie senza Diagnosi.
Grazie all’analisi simultanea di migliaia di geni, l’analisi NGS ha accelerato il tempo di arrivo alla diagnosi, riducendo il burden psicologico ed economico per il paziente. «Abbiamo identificato diagnosi di condizioni che non erano mai state descritte e che abbiamo preso in carico in presenza di problematiche di tipo endocrinologico, in considerazione del nostro focus», ha ricordato la prof.ssa Pasquali. Un caso emblematico trattato in struttura – per il quale si spera di arrivare a breve alla pubblicazione – «ha evidenziato che, partendo dalla clinica, insieme alla genetica e ragionando sui meccanismi di azione, sia possibile approdare a ipotesi terapeutiche in grado di cambiare o comunque migliorare le condizioni del paziente».
L’importanza della comunicazione
Infine, l’attenzione al paziente passa inevitabilmente per la qualità della comunicazione. Un paziente con malattia rara è spesso gravato da un importante carico psicologico, specialmente in presenza di un fallimento terapeutico. «Quando un paziente deve iniziare una nuova terapia è timoroso, in particolare se è reduce da un fallimento terapeutico», ha sostenuto la dott.ssa Annibale. È qui che l’intervento professionale diventa fondamentale. «Noi dobbiamo rassicurarli con una comunicazione empatica ma al contempo professionale e supportata dai dati scientifici delle sperimentazioni.
L’attenzione e la cura agli aspetti psicologici sono, quindi, un fattore inscindibile dalla gestione clinica e farmacologica», ha concluso la dott.ssa Annibale. La gestione della malattia rara non si esaurisce, dunque, nella somministrazione di un farmaco o in una consulenza specialistica, ma necessita di una presa in carico integrata. L’attenzione alla transizione dall’infanzia all’età adulta rappresenta un esempio calzante di come gli aspetti psicologici e logistici debbano procedere di pari passo con la cura, garantendo non solo la salute fisica, ma anche una buona qualità di vita al paziente con malattia rara e alla sua famiglia.
Articolo realizzato con il contributo non condizionante di Kyowa Kirin




