Tumore della prostata, la sfida dei radioligandi

Nel dicembre 2022 la Commissione Europea ha approvato lutezio-177 vipivotide tetraxetan, una terapia a base di radioligandi per pazienti con tumore prostatico progressivo resistente alla castrazione e positivo all’antigene di membrana specifico della prostata (Prostate-specific membrane antigen, Psma).

Realizzato da Advanced Accelerator Applications, la startup fondata nel 2002 dal fisico Stefano Buono, il trattamento è costituito da due parti: un radioisotopo, cioè una particella radioattiva (lutezio-177), e una molecola (vipivotide tetraxetan), con funzione di ligando o carrier.

Quest’ultimo, come suggerisce il nome stesso, è in grado di riconoscere un recettore specifico presente sulle cellule tumorali e di legarsi a esso.
Una volta avvenuto il legame, il radioisotopo emette particelle beta ad alta energia, che danneggiano le cellule neoplastiche, compromettendo la loro capacità di replicarsi o innescando la morte cellulare.

Terapia precisa e personalizzata

«Questa terapia rappresenta l’emblema della medicina di precisione e personalizzata. Di precisione perché colpisce in modo mirato le cellule bersaglio senza arrecare danni a quelle sane, con una selettività superiore a quella di chemioterapia e immunoterapia.
Personalizzata perché ogni paziente riceve un farmaco preparato appositamente», sostiene Marco Maccauro, responsabile della struttura semplice di Terapia medico nucleare ed endocrinologia dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano.

Lo studio registrativo

L’approvazione in Europa della molecola è stata concessa sulla base dei risultati dello studio registrativo di fase 3 Vision, internazionale, prospettico, randomizzato, in aperto, multicentrico.
Durante la ricerca, gli sperimentatori hanno arruolato 831 pazienti, precedentemente trattati con inibitori della via del recettore degli androgeni e con chemioterapia a base di taxani, suddividendoli in due gruppi: il braccio sperimentale, che ha ricevuto lutezio-177 vipivotide tetraxetan per via endovenosa ogni sei settimane, per un massimo di sei cicli, più lo standard di cura, e il braccio di controllo, che ha, invece, ricevuto lo standard di cura in monoterapia.

Al termine della sperimentazione, il primo gruppo ha registrato una riduzione del 38% del rischio di morte e una diminuzione del 60% del rischio di progressione radiografica della malattia rispetto al secondo.
Inoltre, circa un terzo (30%) dei pazienti del braccio sperimentale rispetto al 2% del braccio di controllo ha dimostrato una risposta obiettiva.

Le sfide da affontare

A fronte di questi dati incoraggianti, l’impiego della terapia, la cui rimborsabilità è prevista in Italia nel 2024, pone, però, numerose sfide. La prima è quella di disporre di un team multidisciplinare, composto da urologo, oncologo, medico di medicina nucleare, in grado di farsi carico del paziente a 360 gradi.
La seconda è quella logistica, visto che il farmaco ha un’emivita di sole 72 ore, che impongono rigorose tempistiche di produzione, trasporto, somministrazione al letto dei pazienti.
La terza è un adeguamento infrastrutturale, che consenta di trarre il massimo beneficio dalle tecnologie innovative.